Fame olimpica

Foto Augusto Bizzi

Foto Augusto Bizzi

Ci sono gesti nello sport che hanno un significato maggiore di quello che apparentemente rappresentano. È come se in un solo istante fosse sintetizzata la storia intera di una prestazione sportiva. Sono come le frasi finali di certe poesie di neruda o l’ultima pagina di alcuni libri; la loro presenza arricchisce un testo già splendido di una perfezione e di una grandiosità tale, che per il lettore sarà impossibile dimenticarle. E quella frase, quella pagine, che lo hanno spesso sorpreso, resteranno scolpite nella sua testa, a magnificare quella poesia o quei libri. Spesso, appunto, la stessa cosa succede nello sport, quando un gesto diventa icona di un’impresa, di una vittoria. È successo ieri con l’ultima punto di Daniele Garozzo contro l’americano. Una gara perfetta è stata resa sublime da quell’ ultima stoccata. Quella corsa affamata di vittoria è riuscita a sorprendere tutti, avversario compreso, e allo stesso tempo a confermare il suo essere campione. E forse è proprio questo il punto; ciò che l’ha resa così indimenticabile non è l’aspetto tecnico o quello tattico, ma la fame che la spingeva, che l’ha creata, che l’ha fatta disegnare nella mente e nel cuore del fiorettista italiano. Dai primi movimenti si è vista subito la sua arrogante bellezza: quella stoccata doveva entrare, doveva toccare; ne aveva bisogno, era il suo scopo. Racchiudeva in sé il bisogno, la fame, appunto, di raggiungere il bersaglio. In quel momento nulla avrebbe potuto fermarla. E non c’era tecnica o tattica che avrebbe potuto spiegarla o bloccarla. Era trascinata da una voglia di vincere che era superiore a qualsiasi paura, a qualsiasi ragionamento o pensiero. Era essa stessa una scintilla di pensiero, che però non si è fermata a ragionare, ma è andata avanti verso il suo scopo, libera e vincente. Per lei, la stoccata, era impensabile non arrivare al bersaglio, non essere l’ultima, quella vincente; era scritto nel suo dna. E l’esultanza del giovane campione italiano, dopo quella luce verde accesa, è stata un tutt’uno con lei; perché non c’era bisogno di fermarsi a controllare, di guardare negli occhi dell’arbitro o dell’avversario la sua consacrazione. Nel momento stesso in cui è partita sapeva già che sarebbe stata l’ultima, era quello il suo senso. E quella corsa finale farà per sempre parte della sua storia. Come il giusto epilogo della sua breve vita, che ha regalato a lei l’immortalità della memoria, e a noi tutti la consapevolezza di essere di fronte a un capolavoro.

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