Ci sono persone che si perdono in un addio mai detto. Si guardano un’ultima volta non sapendo che sarà l’ultima. Nascondono dentro di sé domande a cui nessuno darà risposta, e poi, con il passare del tempo, si dimenticano cosa volevano domandare. Ogni mattina si svegliano e appena aprono gli occhi il primo pensiero della giornata è rivolto verso quella persona; il primo sguardo al telefonino è a cercare un messaggio o una chiamata di lui, o di lei. Si trascinano lungo giornate in cui cercano di ubriacarsi di impegni sempre maggiori, per imbrigliare e imbrogliare le loro menti. Mettono su corazze e dighe, solo per non ammettere a se stessi che, semplicemente, loro, hanno ancora qualcosa da dire; o forse lo ammettono benissimo, ma il desiderio di un contatto è comunque più forte del loro orgoglio. Poi, una mattina, uguale alle altre, ma allo stesso tempo profondamente diversa, il pensiero consueto tarda di qualche minuto. Non tanti, giusto un paio; e quella consapevolezza stupisce, e allo stesso tempo rinfranca l’animo. Fa nascere un piccolo sorriso. La giornata è sempre scandita dai soliti impegni che servono solo a mandare avanti le lancette dell’orologio, ma quel ritardo mattutino ha comunque il sapore di una vittoria. Non sempre si ripete il giorno dopo; anzi, spesso il fatto che ci sia stata quella famosa mattina sembra rafforzare i soliti pensieri, ma intanto c’è stata; e allora si convincono, si vogliono convincere, ne hanno bisogno, che comunque è stata il segnale di qualcosa che non sanno neanche loro cosa è. E poi di mattine come quelle ce ne sono altre, e altre ancora. E i due minuti iniziali diventano 5, 10, 15, 2 ore, fino a pranzo, e poi si rendono conto, mentre impostano la sveglia del giorno dopo, che oggi, i loro impegni erano reali; non servivano a riempire loro le ore, ma erano loro che li riempivano con la loro presenza. E allora tutto sarà finito. E quell’addio iniziale, che nessuno aveva detto, non avrà più bisogno di fiato per essere pronunciato. Perché ormai è stato scritto.