L’amore quando non c’era Facebook

L’altro giorno i miei allievi hanno cercato di spiegarmi l’arte del rimorchio nell’era di Facebook. E non ho potuto fare a meno di ripensare ai miei 16 anni e, con tenerezza, mi sono tornati in mente i miei primi approcci con l’altro sesso.
Per prima cosa bisognava riuscire ad sapere, tramite amici, il cognome della fanciulla. Quindi si cercava sull’elenco telefonico, sperando che non avesse una famiglia troppo numerosa, con cugini e omonimi sparsi per tutta Roma. In questo caso veniva in aiuto il mitico tuttocittà, e sfogliando tavole su tavole, si filtravano i risultati, scartando quelle zone della città in cui era improbabile abitasse, dimostrando così capacità deduttive degne di Sherlock Holmes. Una volta raggiunto l’agognato obiettivo, e imparato a memoria il numero di telefono, per evitare che un disastro nucleare facesse scomparire tutti gli elenchi telefonici in circolazione, si doveva trovare il coraggio per la famosa, o meglio, famigerata telefonata (nel mio caso erano necessari circa tre quarti d’ora di esercizi di training autogeno). Ovviamente veniva scartata immediatamente l’ipotesi di chiamare da casa, temendo lo spettro di tua madre che entrava in camera tua urlando sempre la stessa frase: “ancora al telefono?? E che abbiamo parenti alla SIP??? (Per i più giovani, la vecchia Telecom)”. Quindi si optava per una più salubre e intima (in mezzo alla strada?) cabina telefonica e allora uscivi con la scusa di una passeggiata per cercarne una. Impresa non facile, in quanto, tra atti di vandalismi vari e signore con la busta della spesa e scialle in testa, che dovevano raccontare non so a chi (probabilmente ad altre signora con buste e scialle), con dovizia di particolari, la situazione dei prezzi al mercato rionale, neanche fosse l’indice Nikei della borsa di Tokyo, spesso percorrevi un paio di km prima di riuscire nel tuo intento; ma la parte veramente difficile non era ancora arrivata. Alzavi la cornetta, infilavi la scheda prepagata, e componevi il numero.
Ovviamente rispondeva sempre il padre.
Ma tu eri preparato a questa eventualità, e ti eri ripetuto per tutto il percorso prima di arrivare alla cabina la frase da dire. “Pronto. Buongiorno. Sono Daniele, potrei parlare con Maria, per piacere?” Nella tua testa il tono era rilassato e calmo. La voce chiara e affascinante, da non accettare repliche. Naturalmente la realtà era molto diversa. Quando dall’altra parte sentivi la voce del papà dell’oggetto del tuo desiderio, il tuo cuore cominciava a battere all’impazzata e in circa 2 nanosecondi, con un tono di voce degno del migliore fan dei cugini di campagna, biascicavi un “eh sì, sono Maria c’è daniele???”, rendendoti subito conto di aver invertito i nomi e, soprattutto, che dall’altra parte non si era assolutamente capito niente. E quando ti correggevi subito arrivava la fatidica domanda: “si, ma chi la desidera?”. E qui la tentazione di riattaccare era fortissima, ma, sudando come dopo la maratona di New York, continuavi imperterrito: “un amico”. A questo punto era fatta. Avevi superato Scilla e Cariddi, eri pronto per sentire la voce di lei e meritarti il trionfo dell’eroe. Normalmente prima di riuscire ad avere un appuntamento per una passeggiata, si doveva passare attraverso 2 o 3 di queste avventure.
Ora, io non so se era meglio vent’anni fa o adesso, quando con un semplice click su un tasto si può entrare in comunicazione con chiunque, e non voglio fare la classica persona che guarda al presente sempre con aria critica; ma una cosa la so: dopo aver passato tutto questo per 2 o 3 volte, e aver passeggiato per la distanza che c’è tra Roma e Caltanissetta, be’, quel primo bacio era veramente meritato!

2 pensieri su “L’amore quando non c’era Facebook

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