Rinascita

Fonte internet

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Molti credono che uno dei motivi per cui non abbiamo memoria del momento nella nostra nascita sia il fatto che per un bambino sia un’esperienza di angoscia, e che se lo ricordassimo, quel ricordo ci traumatizzerebbe per tutta la vita. Lasciamo la calda sicurezza del ventre materno, un mondo fatto di suoni ovattati e di luce appena accennata, per un caos di colori e rumori; una miriade di stimoli che improvvisamente ci colpiscono da tutte le direzioni. Lasciamo il caldo tepore del corpo che ci ha ospitato per 9 mesi per un mondo che è più freddo, e che ci è completamente estraneo. Credo che qualsiasi bambino, se potesse esprimere un pensiero in quel momento, vorrebbe soltanto ritornare da dove è appena uscito e non perdere quel contatto caldo e rassicurante. Nascere è doloroso, sicuramente angosciante, fa paura, ma è anche l’unico modo possibile di iniziare l’esperienza più esaltante di sempre: la vita. E allora penso al concetto di rinascita; a tutte quelle volte che le difficoltà della vita ci sbattono violentemente in un desiderio di rientrare in un utero protettivo dove nessuno ci possa toccare, dove l’unica cosa che vogliamo è sparire da tutto e da tutti, leccandoci le ferite dopo un’esperienza che ha scatenato in noi solo voglia di isolarci, di rinchiuderci in un silenzio solitario. E per quanto sia forte il dolore, la ricerca di quell’esilio volontario da qualsiasi responsabilità è l’unica cosa che sembra placare la frustrazione, la sofferenza. L’ho visto succedere svariate volte, anche con molti atleti che a un certo punto sembravano aver smarrito la strada e lo spunto vincente. L’ho provato anche io quel dolore, e non solo nello sport; ma a un certo punto ci si deve rimettere in gioco, ributtarsi nella mischia, ricominciare a correre; perché abbiamo delle responsabilità o più semplicemente perché quello è il nostro talento. E può fare paura, può essere angosciante, può spaventare, ma è l’unico modo per sentirci davvero vivi. Spesso non lo possiamo fare da soli, abbiamo bisogno di qualcuno che ci spinga fuori o che ci tiri, o semplicemente che ci accolga quando finalmente riusciamo a sgusciare fuori dal bozzolo di finte sicurezze che ci siamo costruiti; e quando lo facciamo siamo un po’ malconci, segnati da quel periodo di immobilità in uno spazio stretto. I primi passi sono incerti, gli occhi sono confusi, come se vedessimo per la prima volta la luce dopo chissà quanto tempo; ma poi, se riusciamo ad affrontare quelle paure, quelle angosce, il passo si farà più sicuro, lo sguardo più determinato, e quella sofferenza di cui il ricordo è ancora così vivo, e che comunque in parte ancora ci spaventa, non sarà una semplice armatura, ma un’arma, una risorsa, che ci avrà reso più forti, più consapevoli. E soprattutto , avremo una certezza in più: che rinascere è difficile, bisogna lottare contro il nemico più forte, noi stessi, bisogna imparare a guardare negli occhi le nostre peggiori paure, ma anche che, per quante volte possiamo cadere, ci sarà sempre un motivo per rialzarsi, prendere in mano la nostra spada, la nostra vita, e guardare in faccia la strada che abbiamo davanti.

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