La stoccata perfetta non esiste. Me lo sento ripetere da quando sono bambino. E ovviamente io non sono d’accordo.
Ma andiamo con ordine: l’etimologia latina della parola ci porta a identificare la perfezione come qualcosa di compiuto, a cui non si può aggiungere niente, che non può essere migliorata in nessun modo. E allora mi guardo intorno, ascolto, leggo e mi accorgo che il mondo è ricolmo di perfezione. Mi basta leggere una poesia di Neruda, o ascoltare Mozart, per rendermi conto che pensare di migliorare in qualche modo ciò che questi due geni ci hanno lasciato è come pronunciare una bestemmia contro il dio del talento; ma il talento non riguarda solo l’arte. Carl Lewis che corre i 200 metri è perfetto, un’icona meravigliosa di quello che il corpo umano può fare; la croce di Juri Chechi ha la stessa poesia a mio avviso di un quadro di Klimt, l’immobilità che diventa maestosità.
Per quanto riguarda le persone sicuramente non si finisce mai di migliorare e non possiamo dire di essere compiuti e finiti fino a quando l’ultimo respiro non ha lasciato il nostro corpo. Ma per quale motivo questa definizione dovrebbe essere vera anche per le nostre azioni, per ciò che possiamo creare e immaginare, per ciò che possiamo ottenere dal nostro corpo e dalla nostra mente?
E allora perché non dovrei insegnare ai miei allievi a cercare la perfezione in una stoccata? Perché dovrei convincerli che la botta perfetta non esiste? E che per quanto loro si possano impegnare ci sarà sempre un limite che non potranno raggiungere?
Una stoccata al braccio, magari dopo una parata, Continua a leggere→