Un giocattolo sotto l’albero

Natale: il pranzo con i parenti, l’albero, il presepe e, soprattutto per i bambini, i regali. Non esiste festa più bella per loro , ma anche questo giorno magico nasconde un’insidia. Non c’è cosa peggiore, infatti, di scartare un bellissimo pacco, trovarci dentro l’atteso gioco elettronico, e rendersi conto che mancano le batterie! Normalmente in questi casi si comincia a cannibalizzare tutti gli apparecchi elettronici che si riesce a trovare in giro per casa: telecomandi, sveglie e vecchi giocattoli; ma il più delle volte bisogna rassegnarsi ad aspettare il 27 dicembre per poter finalmente vedere il giocattolo nuovo prendere vita. E nel frattempo non si può fare a meno di guardarlo, magari tentando di giocarci ugualmente, usando la fantasia, in una pallida imitazione dei prodigi che potrebbe fare se avesse al suo interno le agognate pile.
Ecco, questo è quello che più o meno sta succedendo al movimento sportivo italiano. Abbiamo fra le mani uno splendido giocattolo, con tutti gli accessori al proprio posto: tecnici capaci, giovani talentuosi, una capacità innata di riuscire a tirare fuori dal cilindro risultati incredibili. Ma dobbiamo sempre arrangiarci senza le batterie, cioè senza un qualcosa che è il vero motore di questa perfetta macchina; la maggior parte può adesso pensare che io mi riferisca alle risorse economiche, ma non è del tutto vero, o almeno non mi riferisco solo a quello. Sicuramente avere soldi da poter spendere è qualcosa di importante, ma come spesso è successo negli anni passati, alla fine i soldi, se sono gettati a pioggia sulla realtà sportive, senza un criterio, finiscono presto, soprattutto se affidati a persone che, nel migliore dei casi, sono dei volenterosi dilettanti. No, il vero motore di questo grande gioco è la cultura sportiva, e questa in Italia è una perfetta sconosciuta. La batteria che ci vuole è il considerare lo sport, tutti gli sport, delle attività degne e rispettabili, e non dei passatempi per gente che ha poca voglia di lavorare. Finché i tecnici e gli addetti ai lavori verrano visti come dei dopo-lavoratori, e non come dei professionisti seri e preparati, lo sport non potrà mai staccarsi dall’oblio del dilettantismo, o peggio del volontariato, e quindi non potrà mai attirare risorse economiche su progetti ben precisi. Tra regalare soldi (come spesso si faceva in passato) e chiedere di lavorare gratis (tanto c’è la passione) c’è una via di mezzo, che passa attraverso la valutazione dei meriti e delle capacità. Oggi fare sport può e deve essere considerato alla stregua di ogni tipo di lavoro, anche perché dietro ci sono anni di studio e di sacrifici, sia per gli atleti che per i tecnici; e quindi deve e può essere visto come un modo come un altro per fare impresa. E invece noi ci ostiniamo (e forse siamo in alcuni casi proprio noi addetti ai lavori i primi) a considerare coloro che vivono di sport come dei figli di un dio minore, gente poco seria, che per vivere gioca dalla mattina alla sera. E il fatto che la nostra passione alla fine spesso basti per portare medaglie e titoli fa sì che non ci sia una vera volontà di cambiare le cose.
Forse invece dovremmo farlo, anche perché, a Natale, il mio incubo peggiore era che il nuovo giocattolo si rompesse in quei due giorni di attesa prima che potessi finalmente comprare le batterie.

Un pensiero su “Un giocattolo sotto l’albero

  1. Teo

    Considerare lo sport una “professione” ha le sue conseguenze, soprattutto sul piano fiscale: fine delle ASD, pagamento di IRPEF, IVA e via dicendo. C’è anche un rovescio della medaglia.

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