Chiara non è un mio diritto

Facoltà o pretesa tutelata dalla legge, di un determinato comportamento attivo o omissivo da parte di altri; spesso contrapposto al dovere.
Così la Treccani definisce la parola diritto in una delle sue accezioni. E io mi soffermo sulle prime 3 parole: facoltà o pretesa. Quando il diritto è una facoltà e quando una pretesa? E ancora: cosa vuol dire pretendere?
Anche qui mi viene in aiuto il vocabolario.
Pretendere: richiedere con fermezza e decisione cosa a cui si ritiene avere il diritto, richiedere più del dovuto.
Le parole non dovrebbero avere un colore, ma è inevitabile dare al pretendere una connotazione negativa. E allora vuole dire che non tutti i miei diritti sono giusti; o meglio, vuole dire che alcuni di quelli che sono portato a pensare siano diritti che mi appartengano, forse non lo sono.
Rifletto. E cerco di analizzare le cose che io considero come dovute nella mia vita. E mentre lo faccio mia moglie mi manda un messaggio con una foto buffa di nostra figlia Chiara.
Ogni tanto ripenso alla mia vita prima della sua nascita, e mi sembra lontanissima, quasi impossibile. E mi scopro a pensare che io ritengo dovuta e naturale la sua venuta al mondo, il suo appartenermi e la sua stessa esistenza.
E rimango inorridito da questo pensiero.
Sto veramente accampando diritti su un altro essere vivente e senziente diverso da me? E sì che la schiavitù è stata abolita da quasi 2 secoli!
Allora Chiara non è un mio diritto, ma un mio dovere e una mia responsabilità. Tutto il mio ragionamento cade di fronte a questa semplice e banale rivelazione. E tutto cambia prospettiva.
Essere padre (o madre) non è un diritto e non dovrebbe mai essere considerato tale. Essere genitore non è qualcosa che mi appartiene naturalmente come la libertà di movimento, di parola, di pensiero o di espressione.
Essere genitore è un limite alla libertà di movimento ( soprattutto del movimento verso i ristoranti… Troppo complicato, meglio mangiare a casa con gli amici), di parola (quante sere passate a cantare sempre le stesse canzoncine), di pensiero (provateci a voi quando la notte ha la febbre a pensare a qualcosa di diverso), di espressione ( c’è poco da fare, quando si disegna una casa deve avere per forza il comignolo sul tetto, anche se è in riva al mare di fianco alle palme)
E allora non sono io ad avere un diritto ad essere padre. È  lei che ha un diritto ad essere figlia e a limitare le mie libertà. Non è lei che mi appartiene, ma sono io che appartengo a lei.
Stiamo diventando sempre più bravi ad accampare e pretendere diritti sempre maggiori, ma siamo ugualmente bravi e disponibili ad accettare i nostri doveri e i nostri limiti?

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